giovedì 28 novembre 2013

Mi manca "Pirandello"


Non significa certo dover ripartire da zero. Quanto detto nella storia che ci ha preceduto è fondamentale ma avrei bisogno di stupore.
"Manicomio! Manicomio!" ancora riecheggia in quel teatro (9 Maggio 1921 Teatro Valle, Roma).
Vorrei accadesse ancora.
Il teatro cerca di scendere in platea ancorato alle travi del palcoscenico e così, come nella vita, si assiste a parole vuote.
Sono una spettatrice in cerca di Arte Teatrale.

Il teatro che scende dal palcoscenico attraverso il teatro.
Una finzione architettata magistralmente che è realtà.
"Sei personaggi in cerca d'autore".

Allo stesso modo che con Gesù mi chiedo: "Nel 1921 -anno della prima di Sei personaggi di Pirandello- da che parte sarei stata?"
E quindi, quanti Pirandello mi sto perdendo? Verso quanti sto urlando il mio "Manicomio! Manicomio!"?
Provo a liberare la mente ogni volta che occupo il mio palcoscenico -la poltrona- e mi metto a disposizione di ciò che sarà.
Vorrei perdermi, trovarmi e vorrei pensare.
Colpa del delegare agli altri? Assenza di responsabilità?
Forse richiesta d'aiuto per trovar profondi stimoli d'astrazione.
Legata al lievito madre del Teatro, la Grecia, non posso non pensare alla catarsi.
Troppo difficile il linguaggio a volte perché arrivi a collegamenti con il vissuto personale; troppo poco abituati a lasciarci andare alle emozioni evocate da quadri e dipinti in movimento; familiarità con la sintesi costruita da altri e semplificazioni di facile digestione. Imboccati.
Catarsi doppia. Catarsi non solo per lo spettatore ma anche per l'attore. Anche per l'attore, non solo!

Mi pongo interrogativi come spettatrice . Vorrei il teatro se ne ponesse per sé e non rispondesse a domande ed esigenze personali ricoprendole con richieste esterne.
Se è necessario che ci si fermi piuttosto che proseguire ad occhi chiusi.
Rispondere ad una domanda mai posta credo sia uno degli atti più invadenti che io conosca.

Non punto il dito contro ma tendo la mano per un potenziale dialogo.
Se nel mondo del teatro gli attori, molti, dimenticano di essere persone, allora cos'è in ballo?

Teatro-maschera-personalità.
Una macchina potente, un mezzo, un'azione che ha la batteria scarica; si illumina di tanto in tanto di una luce che si affievolisce di giorno in giorno e troppo, ormai, è il tempo del buio.

Il contatto con l'emozione profonda è un limite condiviso. Forse, e dico forse, questo potrebbe essere un punto di partenza.
Stiamo troppo poco nel mondo. Non ci sporchiamo le mani e quando lo facciamo corriamo subito a lavarle.

Mi manca Pirandello ma vorrei incontrarne uno nuovo.
Ho l'anima spalancata.
Non cerco qualcosa di definito ma cerco quell'infinito che mi faccia respirare.
Non sono fuori dai giochi, non delego.
Mi sporco le mani e provo a familiarizzare con le Emozioni senza cercare omogeneizzati di storie o input.
Emozioni.
L' Arte è tale se comunica, vero è che se siamo completamente chiusi non riusciamo a far passare nemmeno un sorriso sottile. In entrata e in uscita.

# stegreiftheatre #moreno accadranno cose nuove dando voce a vecchie intuizioni

martedì 26 novembre 2013

Lacrime di gioia


Non ho mai visto un bambino piangere di gioia.
Del resto il pianto, come espressione di una commozione felice, è  di chi ha una maturità emotiva. Troppo rara da trovare, difficile- a volte impossibile- da condividere.
Quanto poco spazio lasciamo, libero, per le emozioni?
Quanto spazio per emozionarci?
Legati al tempo, siamo troppo legati al tempo e tratteniamo tutti, troppo intatto, il concetto di immortalità.
Ci muoviamo come se non dovessimo morire mai e non solo nel rimandare, ma nel progettare.
Agiamo tutto.
Nulla accade per caso perché siamo in grado di agire tutto. Possiamo agire tutto ma abbiamo sempre una fottutissima paura nell'essere felici.
Accettiamo condizioni che demoliscono, a volte con dolorosissima lentezza, il nostro Corpo e la nostra Anima e un passo verso la felicità ci immobilizza.
Più neuroni delle stelle.
Abbiamo più neuroni delle stelle in cielo!
Abbiamo un mondo magico e potente che conserviamo senza renderci conto che, chiudendolo in un cassetto si rovina, perde sostanza, si inaridisce.







https://www.youtube.com/watch?v=EAIt100E4QQ#t=53

domenica 24 novembre 2013

Allora Dio arriverà in fretta

Allora Dio arriverà in fretta.
Lo sussurrava la sua Anima e lo sentiva il suo Corpo.
Non era un delirio, ma se il pensiero era così forte poteva apparire tale a chi non la conosceva.
Ogni suo istante, fino a quel momento, era stato carico di razionalità.
Aveva cambiato il registro.
Continuava a credere che se lui fosse arrivato il tutto sarebbe potuto coincidere con la venuta di Dio.
Quante menzogne ancora doveva raccontare al suo cuore per cercare di far cessare quella gioia profonda che le procurava dolore?
Non ne sapeva l' esistenza e a fatica si ripeteva che forse, forse, sarebbe stato meglio restarne all' oscuro. Quella luce che abbaglia, dopo che gli occhi sono stati al buio, è dolorosa. Sì, ma quanta bellezza avrebbe potuto vedere da quel momento in poi?
Non poteva farne a meno nemmeno il pensiero.
"Restami un po' addosso", questo sperava, che lui avrebbe continuato a far parte della sua Anima e del suo Corpo senza che ci fosse bisogno del ricordo.
Non hai bisogno di ricordare di avere una mano. Non hai bisogno di farlo perché è lì con te. Accade con l'arto fantasma. Sarebbe accaduto lo stesso con lui. 
La sua mano, quella mano che stringeva nuove lenti.
"Allora Dio arriverà in fretta" continuava a sussurrare.
 A lungo.
 A sussurrare a sé.
 da "Su fili di seta" di Nunzia Barrai

giovedì 21 novembre 2013

Bianco

Da giorni, ogni giorno, è lo stesso giorno.
Bianco.
Forza.
Purezza.
Lo spazio nel quale poter scrivere ancora.
Contrasti facili e apparenti che non fanno più paura. 
Fino a quel giorno, che è lo stesso giorno e dura da giorni.
Ho preso un foglio e ho iniziato a scrivere. 
Mi son fermata, non sapevo più proseguire perché erano giorni che ci pensavo e quel giorno è durato settimane e poi mesi e poi il silenzio.
Lo spazio bianco che attraverso prima del cambiamento?
No.
Ero certa di aver raggiunto l'altra riva; di essere nel cambiamento.
Bianco.
Abbagliante.
Mi fermo ancora una volta per raccogliere gli oggetti caduti dalla valigia, rimetterli insieme, chiuderla a fatica e ripartire.
Perché le valigie quando le scomponi, pur senza aggiungere nulla di nuovo, sono impossibili da ricomporre?
Bianco, è.
Tutto ancora da scrivere.
In potenza.
Impotenza.
 da "Spazi finiti" di Nunzia Barrai

venerdì 15 novembre 2013

Il teatro ha bisogno del sipario

Dieci metri di broccato rosso.
Dieci metri di broccato rosso a proteggere quello che c'è dietro. A proteggere senza la necessità di far vedere tutto e subito.
Dieci metri di broccato rosso per far spaziare la fantasia di chi siede sul proprio palcoscenico, sulla propria poltrona.
Un titolo, magari il nome del regista e degli attori e poi l'attesa di vedere cosa c'è dall'altra parte.
Astrazione dalla realtà e contatto con il proprio mondo attraverso immagini costruite da altri ma che arrivano a noi secondo quello che ci abita.
Dieci metri di broccato rosso indispensabili a segnare quella iniziale linea di demarcazione per capire chi siamo e vedere chi abbiamo difronte a noi.
Dieci metri di broccato rosso che ricordano l'inizio di un gioco.
Sono gli stessi metri di broccato rosso che fanno da metafora alla vita intera, alla vita quando entra in relazione con un'altra vita perché abitiamo il nostro universo, a volte senza conoscerlo abbastanza, e un giorno decidiamo di condividere.
Dieci metri di broccato rosso.
Dieci metri.
Ne bastano solo dieci.
Che il sipario si apra e la vita abbia inizio.
Ogni giorno.