sabato 24 novembre 2012

Una prigione

Con tutte quelle catene non si poteva non pensare ad una prigione.
E quella era: una prigione.
Una prigione di emozioni che si fa finta di non provare per sentirsi, fintamente, liberi.
Liberi da cosa poi? Ah sì, liberi da se stessi.
Attribuzione esterna, la chiama qualcuno e attribuzione esterna è. Ogni cosa va nel verso sbagliato a causa degli altri e nel verso giusto si sceglie quella interna insomma non siamo mai responsabili di quello che va male soprattutto poi quando si tratta di emozioni. Analisi, valutazioni, giudizi e non-vita.
Come puoi analizzare un'emozione mentre la stai vivendo e barricarti dietro il "non è abbastanza".
Quando un'emozione è abbastanza per potersela vivere? Che sapore deve avere? Io pensavo bastasse "solo" provarla un'emozione per considerarla degna di essere vissuta.
E' un annullamento, di fatto. Se emozione è, è.
Qualcuno crede di vivere utilizzando gli altri a proprio piacimento nascondendosi dietro il "non farei mai del male volontariamente" ma è solo un alibi per devastare l'altro intimandogli un'assenza di discussione. Un alibi che ferisce perché è chiusura e infantilismo puro.
Per gli adolescenti, meravigliosi adolescenti, le cose hanno un giudizio dicotomico: bianco o nero. Quando si diventa adulti esiste il grigio, vero ma esistono anche tutti gli altri colori e non si possono utilizzare i termini di paragone soprattutto quelli di un passato fallimentare.
Mi sento nuova ogni volta che mi relaziono a qualcosa di diverso perché sono nuova io, è l'auspicio che mi faccio costantemente, ed è diverso l'altro se solo lo si vedesse, davvero, per quello che è.
Non si ottiene nulla da una prigione emotiva se non il provare un sentimento che è quello della pena. Provo pena e tristezza per chi proprio non riesce a vivere con la presunzione che di vite ce ne sono molte o l'arroganza di pensare che sia tutto finito. Siamo davvero in grado di decidere quando una vita finisce nonostante i respiri che l'Anima continua a produrre?
Un po' di rispetto per Lei, almeno per Lei che ci rende immortali producendo emozioni che produrranno emozioni e così senza fine.
Accarezzare qualcuno, baciarlo, far l'Amore, emozionarsi, ridere, arrabbiarsi, discutere. Basterebbe avere il coraggio di vivere ogni grandiosità che le caratterizza, queste emozioni, per essere davvero liberi di vivere.

giovedì 8 novembre 2012

Raccontare l'Arte: Ricci Forte



E questa volta, per questo racconto, sento di dover utilizzare un registro nuovo per questo spazio; un registro comunicativo meno canonico ma che è mio e devo farlo perché devo raccontarvi di due Artisti, Stefano Ricci e Gianni Forte; di Imitation of death; della mia esperienza romana e in qualche modo anche di me.
Di solito le presentazioni si fanno all’inizio ma farle in corso d’opera è sicuramente più divertente.
Scrivo questi racconti che sono di andriesi che ho amato definire “well done”. Il desiderio era quello di colorare una sfumatura vivace in un periodo storico triste e pieno di lamentele.
Elogio all’Arte intesa a trecentosessanta gradi.
Questo vuol essere, questo spero sia stato, questo spero sia.
Faccio la psicologa e sono una specializzanda in psicoterapia e psicodramma ( se soprattutto quest’ultima non vi dice nulla o desta curiosità leggete qui http://noetichette.blogspot.it/2011/10/intimita-collettiva-non-governata.html) .
Oltre ad avere una spiccata assenza del concetto di normalità ho intrapreso una ricerca che riguarda gli attori come persone e per far questo non potevo non partire da chi in Italia è creatore di una nuova comunicazione artistica e di un diverso modo di “utilizzare” gli attori.
Ecco che contatto Gianni Forte, un anno fa. Prendiamo appuntamento al cafè della Feltrinelli, a Roma, quello di Largo Argentina e avvolti da libri e dall’odore del caffè, discutiamo di teatro, di persone-personaggi, “malattia” mentale –per quest’ultima “colpevole” il mio “Diario di una schizofrenica” con copertina giallo limone- e la possibilità di assistere alla preparazione dello spettacolo che hanno in cantiere da un po’: Imitation of death, appunto.
Accetta. Accettano. Siamo entusiasti.
Settembre 2012, sono al Palladium e osservo di lontano.
La storia di Ricci-Forte ormai è conosciuta anche oltre i confini europei ma forse non tutti sanno che la loro vita come drammaturghi, così com’è, parte dall’intuizione di altri due andriesi, Francesco Fisfola e Riccardo Carbutti rispettivamente Direttore della produzione e Direttore artistico di quel Festival Internazionale Castel dei Mondi del 2006. Un laboratorio che portò alla realizzazione di Troia’s discount e a seguire, fino al 2009, con Metamorphhotel e Wunderkammer nel 2007, 100% Furioso nel 2008 e Macadamia Nut Brittle. Poi il silenzio. Cambiata la bandiera del “comando”, chiusa la porta. Non so se sia stata semplice coincidenza, fatto è che il 2009 è stato il loro ultimo anno qui.
Sembra troppo tempo fa.
Dai Cesaroni (sono loro gli artefici di quella prima parte della Fiction che ha avuto un eccellente riscontro da parte del pubblico) a questo teatro non c’è da stupirsi perché a parlare sono sempre le stesse essenze, quelle di Ricci-Forte, che fanno Arte.
Una nuova comunicazione. Assolutamente nuova.
Guardando “Sei personaggi in cerca d’autore” del Maestro Luigi Pirandello ho pensato che in Ricci-Forte i personaggi ritornano ad essere persone, a toccare di nuovo se stesse –a volte per la prima volta- divenendo essi stessi autori dei personaggi che saliranno su quel palcoscenico. Quindi non un travestimento ma uno spogliarsi, reale, a beneficio delle molteplici facce della verità.
Non molto tempo fa, a proposito del nudo integrale utilizzato da questi artisti scrivevo: “quando comprendi che i corpi sono mezzi di comunicazione, smetti di fingere sconcerto e scandalo, guardando gli spettacoli di Ricci-Forte, e ti sintonizzi con la tua parte profonda.”
Il percorso di Gianni e Stefano attraversa trasversalmente quella che è contemporaneità.
La critica nazionale si divide tra chi li stima profondamente, su tutti Andrea Porcheddu, e chi li critica aspramente addirittura senza aver visto nemmeno lo spettacolo, e qui non cito nessuno per non partecipare al gioco dell’apparire a tutti i costi.
Molti andriesi si sentono orfani di questo teatro e di questi artisti, si sentono orfani dell’esperienza che resta il vedere –e partecipare- ad uno dei loro spettacoli perché si dice che Ricci-Forte o li ami o li odii ma non ti lasciano mai indifferente.
Imitation of death, che sta girando l’Italia e poi l’Europa, sembra un punto d’arrivo nelle viscere, un crescendo, un’introspezione come l’ha definita l’ex direttore artistico del Festival Francesco Fisfola.
Un’introspezione, aggiungo, che è un inno alla vita che passa attraverso quelle esperienze che fanno morire una parte di noi e che poi ci regalano una nuova vita. Un battesimo che segue la lettura del pensiero che è ormai comune e che produce tanti meccanici orsetti uguali; le tacche segnate dal passato e quelle segnate dalla proiezione al futuro che stanca a forza di segnarlo.
Sono sedici performer, persone, tenuti insieme da due Artisti.
È davvero utopia pensare di rivederli ad Andria?

#domaniandriese

lunedì 5 novembre 2012

Di rosso

Di rosso la notte.
Dipingi ogni nuvola.
Impera un fiato. 
Un fiato soave.
Tu ci sei.
Non arrestare  
i tuoi palpiti. 
Non allontanare l'infinito.
E' finito?
Se ogni cosa ha inizio e fine,
se ogni giorno è infinito
restami accanto.
Hai paura del domani se 
non vivi ogni oggi.
Tu sei oggi e ci sarai 
nelle pagine dei miei ricordi
più belli.
Non voglio mettere un punto ma
un "per sempre" urlato
ad ogni calar della Luna e
quando è nuova
custodisce ciò che c'è stato
per ripartire.
Quel sorriso,
i tuoi occhi,
Tu.

venerdì 2 novembre 2012

Silence

"...e la capacità rara si annullare qualsiasi cosa. E' un fantasma o pura illusione. E' un Dio ma non conosco ancora le sue preghiere. Taccio e forse ascolterà il mio rabbioso silenzio. Il buio, il freddo, me stessa.
Saranno ancora queste lacrime che accompagneranno questo cammino verso. Una ricerca costante che sembra fare giri inutili. E' tutto limpido e pieno di nuvole illuminate e scure. Ogni forma ha potere e sostanza. Ogni equilibrio perde forma. Cosa dovrò aspettarmi ancora senza dover attendere? In silenzio continuo ad urlare ogni forma d'amore e non ho sostanza nel cercare l'infinito."
Urlava questo al mondo tutte le volte che taceva. I suoi dirompenti silenzi erano frastuoni. In quel luogo tutti erano abituati ad urlare e nessuno era più in grado di riconoscere la propria voce o distinguere volti con espressioni sorridenti. Fermi e sorridenti. Immobile.
Tutto era immobile e si muoveva compulsivamente. Ascolto. Una parola bandita da ogni atteggiamento. Lei teneva, stretto tra le sue mani, un quaderno -rosso- sul quale appuntare silenzi colorati; in un mondo in bianco e nero vestiva  un arcobaleno che faceva male ad occhi abituati al buio. Cosa poteva aspettarsi se non l'emarginazione? Ma lei proprio non ci stava. Aveva però fatto un errore, ne aveva consapevolezza: fino a quando avrebbe scritto a colori e vestito l'arcobaleno, nessuno l'avrebbe vista. Doveva indossare panni scuri e scrivere di nero senza rinunciare ai suoi colori. Come? Impugnava penne colorate con la mano sinistra, scrivendo con la destra e e intimo di un rosso lucente per n on dimenticare mai la sua essenza.
Fu così che prese posto nel caotico e immutevole movimento dei corpi che avevano dimenticato, in un luogo sconosciuto, le loro anime. Provò anche lei ad urlare conservando la registrazione della sua voce per non perderne il ricordo. Si alzò e iniziò il suo viaggio. Non ne fece mai ritorno.
Proseguì il suo "tendere verso" contino.
Vestita di nero, con intimo rosso; scrivendo di nero, impugnando penne colorate; urlando, conservando la registrazione della sua voce per riconoscerla e coccolando quel silenzio che le avrebbe trattenuto la luce che abbagliava occhi abituati al buio di assonnati corpi.
"E' un Dio ma non conosco ancora le sue preghiere. Silence." da Post di Nunzia Barrai