andare.
La direzione è sconosciuta ma se la sensazione resta quella di sentirsi legati quella direzione, se pur sconosciuta nella sostanza, resta lontana.
Lontano è tutto ciò che pensiamo di non poter raggiungere mai o vivere.
Viversi: vivere se stessi profondamente.
Non sapere nulla, questa è una condizione continua.
Mille pensieri accompagnano questa notte e l'invadente ticchettio di questo orologio nel buio segna concretamente il passare del tempo.
Sentire un vuoto perenne da colmare.
Troppe domande,
troppi dubbi con l'unica certezza di essere in vita e la paura di sopravviverla sta vita.
Un tendere verso continuo che a volte lascia spazio ad un vuoto che sembra sempre più incolmabile.
Lo voglio io?
Sono protagonista della mia vita e responsabile dei respiri.
Mi ripeterei mille volte quel "mi manchi" che mi sussurro da tempo.
Silenzioso e incalzante.
Mi manchi.
Non so proprio dove andarmi a cercare.
Sono stanca.
Accarezzo la mia anima e provo a sentirmi meglio.
Metto tutto nelle mani della notte e di quel mondo che mi protegge, a volte, lasciandomi in una dimensione di assoluta solitudine.
Un mondo parallelo occupato solo dai miei pensieri.
Vorrei aprire quelle porte o forse è semplicemente sbagliato il momento.
Ticchettio
Mi lascio andare a questa notte e al bisogno che ho di me.
lunedì 24 settembre 2012
mercoledì 12 settembre 2012
Raccontare l'Arte: Domenico Celiberti
In quella cornice che rende Andria piena di incontri:
Piazza Catuma torna ad esprimere il motivo della sua nascita e tra persone di
ogni nazionalità incontro Domenico Celiberti, musicista e figlio d’arte.
Inizia a studiare violino all’età di 9 anni (per 10
anni con la prima violinista dell’Orchestra di Tirana) avendo già da molto
piccolo familiarizzato con la chitarra di suo padre.
Domenico ha 26 anni e già una vita intensa da
raccontare.
Dal 2005 ha deciso di iniziare la sua ricerca per la
musica popolare. Suona moltissimi strumenti, dalla fisarmonica all’organetto
passando per il mandolino e la chitarra battente.
Gli strumenti hanno una propria voce e nel chiedergli quale, in questo momento, Domenico riesce meglio ad esprimere la sua voce interna:
“gli strumenti ad ancia: fisarmonica e organetto; la fisarmonica ha un suono
popolare, sa di ballate e di girovagare, ma tra dieci minuti potrei dirne un
altro”.
È nella continua trasformazione di una ricerca
appassionata e costante dove le radici, l’appartenenza sono il filo rosso di
congiunzione.
Questa ricerca forse la deve alla vita vissuta a
stretto contatto con la bisnonna e con la nonna, l’amore e la stima immensa
provata verso suo nonno che lo hanno accompagnato – e continuano a farlo – verso
l’amore per la conoscenza del passato come reale punto di partenza,
insostituibile, di un futuro in continuo divenire.
Viaggiare, cercare, conoscere lo portano a Gerusalemme
per imparare l’ebraico che continuerà a studiare sempre per quella voglia di
scoprire le radici toccandole.
Vive a Bologna da 7 anni ed
è proprio in Piazza Maggiore che inizia lo scambio della musica popolare con i
ragazzi che incontra e così nasce anche un progetto sulle ninna nanne che vedrà
la luce a breve.
Domenico ha partecipato a molti festival (Suoni del
Mediterraneo Andria 2011; Umbria Folk 2012; Radicazioni 2011 e 2012; Tamburello
Festival; Festival a Smirne e ad Amburgo), eppure – mi dice –la musica popolare
autentica non è esattamente quella ascoltata nei festival, perché lì si fa
musica di riproposta, mentre la musica popolare, quella “vera”, deve essere
vissuta nei contesti in cui è nata. Ed è così che Domenico partecipa alle
questue. Mi racconta, in particolare, quella del Sabato Santo: “cande all’ove”.,
in cui gira dal pomeriggio per le masserie suonando l’organetto accompagnato da
un tamburo e dalla voce superba di una donna di 83 anni.
Il repertorio di Domenico va dalla musica agro-pastorale alla musica artigiana. Mi viene
naturale chiedergli dove ha cercato il materiale e lui, con l’umiltà che è solo
di chi produce l’arte esistendo, racconta dei suoi incontri con gli anziani di
Andria che vive come assoluta fonte di
informazioni; di quelle informazioni così preziose e rare che rischiano di
andar perse (e qui il suo riferimento non è solo alla musica).
“Si è persa la tradizione per quel senso di vergogna
che gli anziani hanno provato dopo l’arrivo della radio e della televisione. Si
sono sentiti inadeguati e hanno sminuito le loro conoscenze. È ora che queste
persone ritornino ad inorgoglirsi perché il loro sapere è indispensabile e in
questo dobbiamo essere bravi noi”.
Si coglie da questa appassionata affermazione la
fretta di raccogliere informazioni che potrebbero essere perse per sempre.
Entrando nelle botteghe incontra artisti che condividono con lui musiche
antiche che a volte giungono dal 1800.
Mi racconta di Vincenzo Regano, fisarmonicista e
barbiere che considera l’anello di
congiunzione tra la cultura contadina e quella artigiana, e che grazie a questo
ha una formazione artistica più completa.
Sono i nostri archetipi culturali e non dovremmo
ignorarli perché sono parte del nostro continuo processo di identificazione. È
un inconscio etnico che dobbiamo imparare ad ascoltare.
Impegnato con i suoi gruppi (Contraggiro, Compagnia
Zinnannà, Capacupa) lo aspettiamo per riascoltare la sua musica e toccare le
sue, nostre, radici.
“...vivere in profondità e succhiare tutto il midollo
della vita, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire, in punto
di morte, che non ero vissuto” Henry David Thoreau
#domaniandriese
#domaniandriese
sabato 8 settembre 2012
Quell'orologio che parlava per lui
Era la sua casa, lo sapevo. Del resto era stato proprio lui a consegnarmi quelle chiavi. Potevo entrarci, finalmente.
A rompere quel silenzio assordante di una casa vuota ma piena di emozioni lasciate e vissute, il suono di una sveglia e guardando quell'enorme orologio da muro, appoggiato per terra e riflesso nello specchio frantumato da un'emozione incontenibile, segnava le 22:17.
Raccontava di lui, parlava per lui. Per quello che aveva deciso di fare esattamente in quel momento.
Le decisioni migliori sono quelle prese con il ticchettio che lascia un un sogno dentro da realizzare.
A rompere quel silenzio assordante di una casa vuota ma piena di emozioni lasciate e vissute, il suono di una sveglia e guardando quell'enorme orologio da muro, appoggiato per terra e riflesso nello specchio frantumato da un'emozione incontenibile, segnava le 22:17.
Raccontava di lui, parlava per lui. Per quello che aveva deciso di fare esattamente in quel momento.
Le decisioni migliori sono quelle prese con il ticchettio che lascia un un sogno dentro da realizzare.
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