domenica 21 aprile 2013

Raccontare l'Arte: Alessio Giannone


ALESSIO GIANNONE, SONO


E se il gioco fosse quello di individuare le maschere che ci caratterizzano, sarebbe un gioco senza regole e senza fine.

Non che questo spaventi, anzi, ma propongo una variante: piuttosto che scoprire proviamo a conoscere.
Ci diamo appuntamento a Bari, la sua città, e iniziO ad ascoltare.
Tante sono le maschere che descrivono Alessio Giannone; quella che tutti conoscono oggi è quella di "Pinuccio" che nasce con l’esigenza di trovare il “costume” adatto a poter dire, senza filtri e con quelle inflessioni dialettali che sanno di familiare, tutto quello che sente di dire, tutto quello che pensa.
Ha 34 anni e tante storie.
Laureato in legge e specializzato in diritto agrario, lavora per permettere alle aziende di vendere l’oro dei loro prodotti, certo di vendere la realtà migliore della nostra terra.
Scopre il teatro a 17 anni e fa l’attore per i quindici anni successivi passando dal palcoscenico, interpretando i testi classici, alla formazione dei ragazzi nelle scuole e visto l’amore che traspare verso gli altri, nella conoscenza e nella responsabilità individuale presente in un noi che crea appartenenza, fa dei laboratori con ragazze vittime di violenze sessuali pur non condividendo le etichette, tutte. Affrontiamo con passione il tema, ampio, delle definizioni che arrivano e diventano necessarie laddove manca una sostanza profonda che da sola, essa stessa, sarebbe in grado di raccontare. 
Alessio non può essere definito e non si definisce. È appassionato, preparato e sicuro nelle cose che fa e che propone.
Ti aspettavi tutto questo successo per Pinuccio? “Sì, ne ero sicuro”.
Ci arriva tutta la sua umiltà perché il suo successo è frutto di studio e preparazione che poco hanno a che fare con l’ improvvisarsi ma che fonda radici profonde su quella improvvisazione, sulla moreniana spontaneità, della quale se ne sente troppo spesso la mancanza. Non si parla mai di obiettivi raggiunti o da raggiungere perché Alessio è in viaggio.
Durante questa chiacchierata, torna con forza il tema della pedagogia; dell’educare all’arte, alla cultura, alla politica con il fine di dare mezzi per un pensiero autonomo. Sente il senso di responsabilità come uomo e adesso come persona conosciuta a tanti e spulciando i suoi canali presenti in rete è chiara la sua disponibilità a rispondere e discutere perché per Alessio la discussione e lo scambio sono imprescindibili alla vita stessa dedicandosi momenti di solitudine, che sono miniere di idee e pensieri carichi della vita non solo osservata, con attenzione ed occhio critico, ma anche e soprattutto vissuta. 
Regista di cortometraggi ( ricordiamo “La sala” e “Binari”) e documentari che lo fanno apprezzare da giurie nazionali ed internazionali è ironico, riflessivo, acuto e timido.
Ama la sua città e la sua famiglia sopra ogni cosa riconoscendo in esse i colori migliori che lo animano.
Nel prossimo futuro ci sono appuntamenti importanti che lo attendono. 
Qual è la condizione necessaria al tuo lavoro? “Poter dire sempre quello che penso, senza censura”.

Io glielo auguro, ce lo auguriamo, estimatori quali siamo di uno stile di fare satira che regala spunti di riflessione profondi attraverso un linguaggio che ci è molto familiare.

E poterlo fare con un sorriso è tutta un’altra storia.




#DOMANIANDRIESE




mercoledì 3 aprile 2013

Monologo

"Non voglio il tuo amore, adesso che sai tutto. Avresti dovuto amarmi per tutto quello che ero, per tutto quello che ti davo, giorno dopo giorno. Ti sarebbe bastato, se solo avessi voluto davvero. Il tuo amore adesso colma i tuoi sensi di colpa per non avermi amato prima, per non esserti accorto di me ma non colma il mio dolore di allora. Non si può tornare in dietro. Non c'è concesso. Abbiamo, per fortuna e per sfortuna, una sola vita e una strada da percorrere in avanti.
E' il mio addio tenebroso e carico di vita. Dimostro ancora una volta di volerti un bene puro che non può essere barattato con i racconti. 
Se solo avessi deciso di vivermi. Sarebbe bastato.
Sono stanca di raccontarmi; stanca di dimostrarti, per necessità personale, che valgo qualcosa e che non abito quei panni che tu hai scelto per me.
Troppo affanno, troppe luci spente. Ho bisogno di aria, colori.
Non sono responsabile della tua cecità. Quando l'ho vista ho provato a baciare i tuoi occhi, ad accarezzarli, a volte anche a schiacciarli ma l'assenza di reazione mi ha fatto desistere. Non ho scelto tra te e altro; ho "solo" scelto per me, non è stato difficile e non per quell'amore incondizionato che ognuno di noi dovrebbe provare per se stesso ma semplicemente perché ero rimasta solo io.
Fortuna che quando hai dismesso i panni da pedina non ti ho permesso alcuna mossa. Ma non l'avresti fatto. Non tu. 
E' un addio carico di vita. E' un addio tenebroso e carico di vita" Airoldo Fortuna