lunedì 14 aprile 2014

Io t'amo

Io t'amo.

Io t'amo
come è profondo l'amore che tocca,
sfiora,
riempie e non invade.

Io t'amo
perché in ogni parola che pronunciano le tue labbra
io vedo mondi nuovi.

Io t'amo
e i tuoi silenzi accompagnano la mia solitudine.

Io t'amo
e mi resta di te solo il ricordo.
Il ricordo di te
che passeggi a passi svelti
nella direzione opposta alla mia.

Ed è notte.

Non dovrei amarti?

Io t'amo
perché questo Amore mi ha ricordato che esisto
e amando te amo
profondamente
la vita che mi abita.

                                                                                                                                                    Gioia G.

domenica 13 aprile 2014

Cronaca di una guerra



Sono stanca dei partiti presi e delle generalizzazioni.
Ieri per caso ho potuto cambiare il mio punto di vista. Ho potuto vedere una manifestazione seguendola da un'altra prospettiva.

Ieri Roma era una città in guerra. Vorrei usare le virgolette ma proprio non ci riesco. Guerra, la lascio così com'è.
Ho visto e avrei voluto urlare.
Avrei voluto abbracciare tutti i poliziotti, ringraziarli e chiedere scusa.
Avrei voluto rassicurarli. Avrei passato ore con loro.

Manifestare i propri diritti è necessario, è un volto della libertà.
Far in modo che tutto vada bene è un dovere di chi ha deciso di indossare una divisa.
L'abuso di potere, qualsiasi abuso di potere è una meschinità umana.

Sono arrabbiata, provo dolore e nausea.

Com'è stato possibile?

Ho percorso, prima dei manifestanti, tutte le strade che avrebbero calpestato e anche quelle che non avrebbero dovuto.

Ho osservato i volti dei poliziotti, ho visto mezzi che non avevo mai visto prima (non ne sentivo la mancanza, avrei voluto poterne fare a meno).

Celeste, celeste e nero.
Nero.

I commercianti hanno chiuso le loro attività:
chi per paura;
chi dopo un consiglio della polizia.

Ho provato ad osservare. Ad osservare e basta ma non nascondo che ero preoccupata e che ciò che vedevo non mi piaceva affatto.

Non un giudizio ma una domanda:
perché tutte quelle forze dell'ordine?

Ho ipotizzato due risposte:
visto i precedenti, devono assicurare che vada tutto bene;
esagerazione e controllo sociale.

Inizia ad arrivare una musica.
Percorro la discesa al contrario.
Il corteo è in arrivo.
Lasciavo alle mie spalle la polizia e andavo incontro ai manifestanti per percorrere un pezzo di strada con loro.
Arrivata in cima, mi sono fermata nel mezzo e immobile sono stata a guardare.
Ero mossa dall'aria di chi mi passava accanto e ho provato a guardare.
Tanti ragazzi, famiglie, immigrati, bambini e adulti.
Un uomo vestito elegante, un cappello e un sigaro in bocca.
L'odore dell'erba fumata e una canna passata tra i ragazzi, le bottiglie di birra come quelle di Coca Cola.
Una voce urlante e una musica rap arrivano da un carro che impera davanti a tutti.
E poi... arance, caschi, bottiglie in vetro, coltelli legati con nastro adesivo alle caviglie, maschere di anonimus e sciarpe girate più e più volte al collo in una giornata di sole.

Una sfilata con tanti volti.
Due ragazzi, mentre camminano lanciano, una a testa, pietre alla polizia che, ferma, immobile, chiude una strada.
I poliziotti erano immobili, fermi e anche lontani.
Stavano chiudendo una strada per contenere il flusso.

Mentre scrivo sento lo stomaco contorcersi e le lacrime bruciano.

Avrei voluto andare lì, guardarli negli occhi e dirgli "grazie" ma sapevo che non potevo, che la comunicazione in quei momenti ha colori scuri e opachi e che io ero fuori da tutto.

Lateralmente.
Ho deciso di percorrere la strada lateralmente perché sentivo che quella, esattamente quella era la mia posizione.
Volevo essere periferica perché, per dichiarare i miei diritti, non ho bisogno di pietre o bottiglie in vetro. Non ho bisogno di una maschera anonima, in plastica, che soffochi il mio essere nel mondo.
Non ho bisogno nemmeno di petardi e bombe carta.

Cercavo di correre, di essere più veloce di loro. Un mare di gente informe. "No, non voglio essere qui. Non con loro. Non così" e provavo a farmi spazio tra la gente.

Bomboletta nera che marchia a fuoco un muro "FREE PALESTINA".

Si fermano tutti per ascoltare un comizio - facciamo tutti, sempre, politica - che inneggia alla lotta, alla battaglia.

Provo a farmi spazio, è claustrofobica quella gente e poi un cordone umano a dividere.
Chiedo di passare, devo raggiungere l'altra riva, mi dicono di no.
Non so bene che sguardo ho ma dico solo un "devo".
Uno dei ragazzi alza un braccio, passo da sotto ed inizio a sentirmi libera.

Sono più spedita perché c'è meno gente. Quando sento che posso respirare ho, avanti ai miei occhi, i poliziotti schierati.
Li guardo ma vorrei abbracciarli.
Mi giro e vedo una carovana arrivare.
E' come essere in una valle ed il flusso di gente, come acqua scende alle pendici.

Fotografi, giornalisti che appuntano qualcosa.

Io sono nel momento.

Mi trattengo per alcuni minuti dietro di loro.
Vorrei proteggerli, vorrei dichiarare, con il corpo la mia posizione.
"Sono con voi, respirate! Spero vada tutto bene ma voi respirate"
Ripeto questo come un mantra.
Ho sempre un po' di magia nel mio pensiero e spero possa arrivare loro tanta energia positiva.
Ad uno di loro si sgancia una cintura, io sono alle sue spalle e vedo le sue mani nude e impacciate per cercare di agganciarla in fretta.

Devo andare perché mi aspettano e attraverso strade semi vuote e a tratti stracolme, strabordanti di un silenzio che non mi piace.

Lascio alle mie spalle uno scenario che di lì a pochi minuti sarà esattamente ciò che i telegiornali hanno trasmesso.

Gioia Guglielmi